Sul concetto di riabilitazione

Una delle caratteristiche principali del paziente psichiatrico che vive in una Comunità è quella di un vissuto di “perdita”, per la verità di molteplici perdite: di un legame affettivo, della scuola o del lavoro, degli amici … Tutti eventi che portano ad un restringimento della propria sfera di vita con poche, fondamentali e ripetitive azioni: i pasti, le sigarette, il caffè, gli orari fissi di uscita e rientro. Un quadro questo che ci fa pensare ad una “povertà” di stimoli e situazioni.

Le molteplici perdite di cui sopra creano dolore, sofferenza e ulteriori chiusure, atteggiamento che innesca poi un circolo vizioso che conduce alla “cronicizzazione” ossia ad un impoverimento cognitivo fino ad un deterioramento che incide sulle competenze sociali e lavorative. Le caratteristiche di questo stato possono essere riassunte in un appiattimento emotivo e comportamentale del paziente, che si esprime con la tendenza all’inattività, all’apatia, all’assenza di desiderio sullo sfondo di una frammentazione del proprio Sé, del nucleo psichico interiore.

L’operatore in un simile contesto può essere visto come un “erogatore di energia”, perché volto a stimolare, motivare, trovare un senso laddove si è perso. Ma è anche un anello di congiunzione con la realtà esterna e una base sicura che permetta di sperimentare nuovamente (o per la prima volta) un legame affettivo certo, ricompattando la propria esperienza destrutturata e confusa (Buono G., Gagliardi G.,2007).

Per fare questo complesso lavoro psicologico, basato su una maturata capacità di “relazione”, occorrono alcuni aspetti fondamentali, che riguardano l’operatore in quanto persona, ma anche la struttura in quanto setting del lavoro terapeutico-riabilitativo.

Capacità e caratteristiche personali dell’operatore:

  • saper lavorare in équipe co-costruendo il senso di un rapporto terapeutico riabilitativo, condividendone le emozioni, le perplessità, il sentimento di impotenza che spesso ne deriva. Si tratta di un lavoro comune, nel rispetto di regole e di comportamenti condivisi da tutto il gruppo.
  • mettersi in discussione, ricercare nel proprio atteggiamento e vissuto le emozioni con cui ci si rapporta all’utente, se sono utili o meno.
  • tollerare le frustrazioni, soprattutto in quei casi così difficili se non impossibili, in cui i pazienti non riescono ad evolvere, a migliorare, a raggiungere un obiettivo che forse potrebbe essere utopico. La questione allora si ribalta e l’équipe si trova a fare i conti col proprio bisogno di evoluzione, di movimento, di cambiamento, talvolta col proprio senso di onnipotenza;
  • non reagire alle provocazioni dell’utente;
  • riflettere su ciò che accade nella relazione.

Riassumendo:

empatia e autenticità per riconoscere le forti emozioni del paziente, tollerarle e restituirle come se fossero “purificate”, meno pericolose;

reverìe: accoglienza dell’altro, come ci fosse un contenitore sicuro nel quale il paziente può ripararsi;

funzione riflessiva: mettere un pensiero sulle azioni che accadono per dare un senso e un ordine a ciò che altrimenti viene percepito come caos.

Caratteristiche richieste al contesto nel quale si opera:

Formazione: fornire agli operatori una preparazione adeguata, che tenga conto dei complessi meccanismi psicologici di cui è capace l’essere umano per difendersi dalla sofferenza;

Supervisione: affinché si possano esprimere e comprendere, con l’ausilio di professionalità specifiche, le emozioni che il paziente suscita nell’operatore, perché è solo partendo da esse che si può iniziare un serio lavoro di ricostruzione di senso. Si tratta di un lavoro in cui non c’è giudizio, ma solo comprensione del significato.

 Bibliografia

Buono G., Gagliardi G., “L’agire terapeutico in comunità”, Edizioni Universitarie Romane, 2007